DANZA E FIABA
di Massimiliano Terranova


Il nostro Direttore Artistico Massimiliano Terranova condivide con noi  le sue riflessioni su un tema che riguarda la nostra cultura, le tradizioni e la valenza educativa delle fiabe.

In questi ultimi anni, nel mio lavoro, ho dovuto constatare con un po’ di rammarico e dispiacere che i nostri bambini o gran parte di loro, non sono a conoscenza di molte fiabe.

Le care vecchie fiabe a noi molto care e talvolta “paurose”, sembrano non trovare molto spazio tra le letture e/o l’immaginazione dei nostri piccoli allievi, neppure di qualche adolescente direi!

Senza neanche troppo citare la letteratura più classica e prendendo ad esempio il fenomeno Disney, direi che i temi che spesso proponiamo all’interno della nostra scuola di danza come ispirazione per le nostre creazioni da mettere in scena (per citarne alcuni: Peter Pan, Biancaneve, Robin Hood, Cenerentola addirittura, Il libro della giungla o Gli Aristogatti), ai più di loro sono mondi sconosciuti o davvero poco esplorati.

Cosa ci potrebbe togliere tale fenomeno, quali conseguenze potrebbe avere su queste generazioni che si affacciano su questo nostro mondo adulto così pieno e carico di immagini e concetti così tanto confezionati e precostituiti?

È una domanda che mi e vi pongo, rispetto alla quale non saprei dare una risposta certa, se non una minima e vaga idea di ciò che le fiabe hanno contribuito a formare, nelle coscienze e nel carattere di noi adulti di oggi.

Le fiabe stimolano la capacità di immaginare, di creare e di inventare, promuovendo la creatività e la capacità di pensare in modo originale, tutto ciò oltre ad essere il sale per la vita, è la materia più necessaria ad una qualsiasi espressione artistica e la danza in particolar modo. Le fiabe possono essere senz’altro un mezzo per esplorare temi complessi come l’etica, il significato della vita, la natura umana e la relazione tra individuo e società.

Seguendo questo concetto, possiamo dire che il nostro lavoro, con la danza, il teatro, il musical, assume una valenza rafforzativa nella direzione di cui sopra, l’immaginazione stimolata dalle fiabe fin da più piccoli, trova riscontro e suggestioni nel contesto di una sala danza, nell’inscenare situazioni narrative e sognanti attraverso il movimento, l’esplorazione del gesto narrativo e del corpo mimico.

Tanto per fare un esempio, anche una semplice camminata che attraversa la sala da danza, mimando Cenerentola, sarà posturalmente e concettualmente se non addirittura emotiva, assolutamente diversa dalla camminata mimando la Grimilde la strega di Biancaneve, oppure il modo goffo e confusionario di tenere in mano la spada di Capitan Uncino, si manifesterà in modo posturalmente diverso dalla sicumera e sfrontata plasticità di Robin Hood che si accinge a scoccare la sua freccia.

Mi rendo conto che le fiabe, come la danza del resto, in questo tempo vengono vissute per lo più come semplice intrattenimento per l’infanzia, condividiamo quindi un destino quasi parallelo.

Nel nostro paese, infatti, la danza non ha ancora trovato un collocamento istituzionale che non sia quello dello “sport”, che, se pur utile e fondamentale nella crescita dei ragazzi, ha tutt’altra esigenza e caratteristica fondamentale.

La danza, che svolge ed assurge ad una costruzione fisico-muscolare e posturale, non può assolutamente escludere nell’atto formativo la sua natura artistica, attoriale, mimica e immaginifica.

Fatta questa piccola riflessione, direi che l’argomento che non riguarda solo la danza, meriterebbe un approfondimento molto più ampio e articolato, viste anche le innumerevoli domande che mi sorgono.

Quanto spazio dedichiamo ancora noi adulti, alla lettura di vecchie fiabe ai nostri piccoli?

Qui entra in ballo anche il tempo, il tempo che ogni giorno ci rincorre e che ci fa sentire inermi nell’essere sopraffatti da esso stesso.

Eppure, quel tempo, inteso anche come dimensione, si ritrova nella fiaba come noi lo ritroviamo ogni giorno in una sala da danza; quel tempo che inevitabilmente ci dedichiamo, davanti allo specchio e non solo, a provare e ipotizzare come poter incarnare le nostre immaginazioni, le figure retoriche, quelle fiabesche, così come le sfumature del nostro animo.

Così come il tempo dedicato alla lettura di una fiaba, un racconto, un libro, credo possa essere “quel tempo”, salvifico, almeno nello sviluppo di anticorpi, le difese immunitarie giuste per combattere e magari vincere una battaglia invisibile contro la voracità e l’anestetizzazione della velocità di oggi, che investe tutto.

“Never ending story” ci insegna e ci mette in guardia contro il NULLA CHE AVANZA.